E’ stato il giorno giusto per l’ultima mossa di Paesaggi Umani di Roma Plurale. Performing media Storytelling per la Memoria Rigenerativa, quello più corto, quello del Solstizio d’Inverno in cui il sole si ferma: si sospende, secondo il significato di solstitium che combina sol (“sole”) e sistere (“fermarsi”) quando raggiunge la sua minima altezza da cui inizierà poi a risalire.
Il walkabout sulla Rapsodia de Solstizio d’Inverno al Pigneto è partito da Necci per girare in quell’ex-periferia, riflettendo sulla connessione fatale con il destino di Pasolini a cinquant’anni dal suo omicidio. E’ un territorio ormai gentrificato e forse il Pasolini di Petrolio (l’ultima sua opera, la più eretica) aveva presagito questa deriva. In cammino ascoltiamo la voce di Carletto che racconta delle sue gesta “coatte”, le risse, l’accetta sfoderata a difesa del padre aggredito. Lo si era registrato, incontrandolo per caso lungo quelle strade, una decina d’anni fa, insieme a Marco Manzi (il “poeta dela Maranella”). In quel podcast insorge il paesaggio umano che corrisponde in pieno al climax di Accattone che nel 1961 conclamò la visione pasoliniana di quel mondo sottoproletario. Tra di noi c’è Enzo che riconosce la voce di Carletto, confermando la selvaggeria di quel contesto ma anche la straordinaria umanità che ne scaturiva.
E’ con lui, ora abitante di uno dei villini della Cooperativa Termini che nel 1919 creò un bel comprensorio sullo stile delle “città giardino”, che arriviamo a Piazza Copernico.
Negli anni Sessanta, come Carletto, era uno di quelli che erano al di là del muro di quella bella cittadella messa su dall’ “aristocrazia operaia”dei ferrovieri (quelli di “provata onestà e solvibilità” come recitava lo Statuto della Cooperativa di 150 anni fa), di fatto separata dal resto del suburbio.
Ragionando, sull’orientamento urbano rispetto alla processione solare su cui s’era già trattato, con Stefano Panunzi, l’architetto con cui abbiamo pensato di associare il Solstizio al Pigneto, abbiamo raggiunto la Torretta cinquecentesca di Piazza Copernico, salendo le strette scale per traguardare l’orizzonte a ovest, verso il mare, dove il sole sta tramontando, sospeso.

La direzione è verso l’idroscalo di Ostia dove ci colleghiamo con Er Lem del gruppo Subword con cui riflettiamo sull’eresia pasoliniana, anche attraverso un passo di Petrolio mentre vediamo, nello streaming facebook attuato da Roberto De Luca, scomparire il sole.
Torniamo a terra e lungo la strada Gaia Riposati interpreta dei frammenti de L’Urlo di Pasolini mentre sulle pareti dei palazzi appaiono le videoproiezioni nomadi a cura di Massimo Di Leo-NuvolaProject di alcuni frame dei film Teorema e Mamma Roma. A Via Balbi, nell’ultimo dei villini, dove ritroviamo il muro del comprensorio Termini, ascoltiamo il geopodcast di Loquis della “pietra d’inciampo” sulla storia del partigiano Tito Bernardini, ferroviere comunista di Bandiera Rossa (l’organizzazione antifascista più forte nell’area sud-est di Roma), trucidato alle Fosse Ardeatine.
Giunge l’ora di scendere sotto: da Necci scivoliamo in un’archetipica katabasi (come quella di Enea negli inferi per interrogarsi sul proprio destino) nell’ipogeo e gradino per gradino, entrando nella sotterranea cava di pozzolana d’epoca romana (in una vetrinetta vediamo le lucerne trovate negli scavi) ascoltiamo Vincenzo Cerami, l’alunno della scuola media di Ciampino dove Pasolini insegnava, diventato poi suo aiuto regista e scrittore di rango. E’ severo con il Pasolini dell’ultima fase (quella di Petrolio e Salò) anche se è lo stesso PPP, già nel 1957 in Le ceneri di Gramsci ad aver concepito la sua cultura divergente: “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere con te e contro di te; con te nel cuore, in luce, contro te nelle buie viscere…”.
Ascoltiamo ancora Gaia nella grotta, sostenuta dalle proiezioni d’eco pasoliniana per confluire alla fine tutti in un convivio che ha al suo centro un pecorino sardo stagionato 36 mesi proprio in quell’ipogeo. E’ come un nuraghe, popolato di muffe, con i segni degli attacchi degli acari del formaggio (tyrophagus casei) arginati da un’ottima crosta (grazie all’opportuna salamoia iniziale) che garantisce l’effetto batteriostatico ma assorbe le essenze in una stagionatura che arriva ad esprimere la tirosina, l’aminoacido che sollecita un neurotrasmettitore come la dopamina che influisce positivamente sull’umore. E’ con questo spirito conviviale che amiamo concludere walkabout come questo che hanno rivelato intensa congenialità. Ciò può rappresentare l’antidoto spirituale per quel pharmakos pasoliniano (che significa sia veleno che medicina) che ci mette in guardia, come l’ultima affermazione (rilasciata il giorno prima d’essere ucciso e pubblicata l’8 novembre 1975 su La Stampa, eccone qui una versione). Eccola, micidiale: “La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra”.
Prendiamone atto, è molto vera ed è per questo che operiamo per la rigenerazione umana.